"I Love Sushi", arte e cultura giapponese in tavola | The Soundcheck

2022-10-26 12:00:26 By : Mr. Liu Gary

Una grande storia d’amore, una forma d’arte sia estetica che culinaria, raffinato e salutare: il sushi è in mostra all’Istituto di Cultura Giapponese di Roma. I Love Sushi presenta al pubblico il piatto ormai familiare alle tavole di tutto il mondo. The Japan Foundation, che espone l’evento, spiega come il sushi sia originario dell’Asia sudorientale e della Cina meridionale – giunto poi in Giappone circa mille anni fa – e come oggi abbia varcato i confini nazionali giapponesi, facendosi apprezzare dai palati di ogni finezza.

Il sushi compare nel paese del Sol Levante nelle più antiche opere letterarie dell’ottavo secolo: in quel periodo si chiamava honnare e per prepararlo non si usava nemmeno una goccia di aceto. Si immergeva il riso cotto in una tinozza insieme al pesce, già condito con il sale, così da lasciarli invecchiare per alcuni mesi. Il suo sapore era comunque aspro, grazie alla fermentazione del riso. Il sushi era il cibo dei ceti alti, successivamente arrivò sulle tavole anche dei meno ricchi nella forma di namanare, o pratica al naturale. L’esigenza era quella di un consumo immediato, senza il lungo periodo di fermentazione, ma non si poteva ottenere il giusto sapore aspro. Così ci fu chi provò ad aggiungere il sakè: ci si accorse che lasciandolo fermentare poteva diventare aceto. A quel punto, circa seicento anni fa, si iniziò ad aggiungere l’aceto al sushi.

A partire dal 1800 aumentarono i generi di questa prelibata pietanza: dalla semplice grossa fetta di pesce appoggiata sopra al blocco di riso si passò alle varianti come il bozushi, in cui si toglievano la testa e la coda, o il makizushi, servito come un rotolo, fino al famoso nigirizushi.

“Il sushi è molto di più che mettere del pesce sul riso. Il sushi è una forma d’arte.” Jiro Ono

L’origine del sushi come viene inteso oggi da molte persone si ha intorno al 1830 con il debutto del nigirizushi. Molto economico al pezzo, il suo palcoscenico fu il periodo Edo, su invenzione dei commercianti nei quartieri popolari dell’attuale Tokyo. La sua grandezza era tre volte maggiore di quella attuale. Il pesce veniva lessato, arrostito o marinato nell’aceto, per essere ben condito. A metà del 1800 divenne popolare e il suo prezzo aumentò diventando un cibo di lusso durante la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra. Il nigirizushi si reincarnò in un piatto sofisticato e oggi è sia un bene di prima scelta ma anche un piatto da assaporare senza pretese.

Ormai è un alimento globale, sano e ipocalorico. Il pesce, infatti, in genere ha un basso contenuto di grassi e il nigirizushi, oltre ad essere un piacere per gli occhi, è anche ricco di vitamine. E per la salute è importantissimo per il recupero delle energie e l’abbassamento della pressione alta.

Alla domanda “Chi è il re del nigirizushi?” molti giapponesi risponderebbero che il tonno è il protagonista indiscusso. Fra le molte varietà, il kuromaguro, ovvero il tonno del Pacifico o tonno oceanico, è il classico esempio di pesce pregiato. Iniziò ad essere usato nel diciannovesimo secolo ed è diventato un ingrediente fondamentale e gustoso del nigirizushi. Il tonno del Pacifico è tra le cinque specie di tonno portate in tavola (pinna gialla, tonno obeso, rosso australe, pinna blu del Pacifico e alalunga) e gli esemplari possono raggiungere il peso di oltre 700 kg e una lunghezza di tre metri. Essendo un elemento molto apprezzato per il sushi, gli ambientalisti chiedono una maggiore tutela contro l’eccessiva cattura e consumo.

“Tra i numerosi ingredienti del sushi il tonno è l’unico a saper conquistare lo stomaco di chi mangia.” Ippo Nakahara

Il nigirizushi su nastro, lanciato a Osaka e diffuso in tutto il Giappone negli anni sessanta del secolo scorso, è il kaitenzushi. Posto su un piattino, il sushi era venduto a dieci yen a porzione, un prezzo onesto e accessibile a tutti. E i piattini erano disposti su un nastro trasportatore a catena che rendeva il tutto più divertente e permetteva a chiunque di servirsi da sé. Questa idea di far girare il sushi sopra a un nastro aumentò la curiosità dei più piccoli e tra i clienti aumentarono così le famiglie. Negli ultimi anni hanno fatto la loro comparsa nel menù anche il ramen e i dolci. Dai chioschi di Edo al nastro, fino ai touch screen per le ordinazioni negli attuali ristoranti di sushi: è una continua ricerca di velocità, gusto e convenienza.

All’interno della mostra viene dato ampio spazio alle stampe giapponesi chiamate ukiyo-e. Prodotte per il grande pubblico dalla seconda metà del XVII secolo fino alla fine del XIX secolo, erano realizzate con tecniche xilografiche (una stampa tratta da una matrice incisa in rilievo, per lo più di legno) e vendute a un prezzo economico di 500/1000 yen l’una. Con la loro bellezza hanno saputo conquistare il cuore delle masse, grazie ai loro colori e alle figure che rappresentavano belle donne, luoghi turistici affollati e attori famosi di kabuki, il teatro tradizionale giapponese.

Il sushi veniva rappresentato insieme ai chioschi che lo vendevano, tra i clienti affamati, negli eventi o nei grandi mercati. Ma compariva anche tra le bellezze femminili. Lo scopo degli ukiyo-e era quello di illustrare le passioni di un popolo ambizioso, e il cibo semplice e banale non rientrava di certo tra gli oggetti di interesse. Essendo realizzate in un’epoca antica, quando ancora non esisteva la fotografia, queste stampe sono un materiale prezioso per farci immaginare quanto il sushi fosse integrato nella vita di un intero popolo.

Il sushi oggi arricchisce le tavole di tutti, un tempo era un alimento di lusso che in pochi potevano permettersi. Nella nostra quotidianità c’è sempre l’immagine di un pranzo o una cena tra amici in un ristorante di sushi. O semplicemente il sushi viene visto come una grande forma d’arte, con la sua vasta gamma di colori e le numerose composizioni che sono un piacere per chi ricerca la bellezza in tavola. Oggi il sushi si può acquistare in un supermercato o preparare in casa, ma la sua arte tramandata nel corso dei secoli non deve essere dimenticata, come le tante specialità ricche di varianti che rischiano di scomparire per sempre.

a cura di Federico Sozio

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