Trasporto pubblico, cosa c'è e cosa manca per il full electric - Vaielettrico

2022-10-26 12:30:42 By : Ms. Emily xie

Cosa manca alle aziende del trasporto pubblico locale per passare a flotte full electric e mettere definitivamente al bando gli autobus a gasolio che impestano le nostre strade? Non la tecnologia, ormai pronta a soddisfare  ogni tipologia di servizio con bus elettrici. E non i soldi, perchè il Pnrr ne mette a disposizione una quantità mai vista. 

Mancano invece «pianificazione a lungo termine, visione strategica ed efficacia della pubblica amministrazione _ pensa Alex De Jong Business Manager Public Transport del costruttore olandese VDL _. I Paesi del Nord Europa hanno piani a 10-15 anni che prevedono la completa migrazione alle flotte elettriche. Li stanno attuando  progressivamente, ma sapendo già dove andranno a finire».

Siamo all’ Intermobility and Bus Expo (IBE) di Rimini, dove Vaielettrico, in collaborazione con il Comitato tecnico scientifico di Ibe e il supporto di Hitachi Energy,  ha messo faccia a faccia costruttori di bus elettrici, aziende del trasporto pubblico e fornitori di servizi (leggi).

Sono i tre attori che, lavorando in sinergia, potrebbero colmare il gap che divide l’Italia dalle eccellenze europee. Un divario pesante: da noi è elettrico appena l’1% delle flotte bus, contro il 30% della media europea.

Eppure una svolta netta verso veicoli a zero emissioni non si vede ancora. E anche gli acquisti di nuovi mezzi prevedono sempre un mix di elettrico e termico.

Il motivo lo spiega Giacomo Lipparini, ingegnere di manutenzione di TPER, sottolineando le «implicazioni organizzative e gestionali» della transizione. «Sulle linee extraurbane _ fa notare _ abbiamo autobus che rientrano in deposito dopo 600-700 km e dopo due o tre giorni di permanenza notturna in parcheggi periferici in strada. Come potremmo alimentarli? Servirebbero autonomie che i costruttori non garantiscono o infrastrutture di ricarica decentrate che è molto difficile installare».

De Jong è convinto invece che l’autonomia giusta arriverà: «La nuova gamma del nostro Citea 12 metri (esposto per la prima volta in Italia proprio qui a Rimini n.d.r.) è stata riprogettata per ospitare le batterie da 306 kWh nel pianale. Stiamo introducendo bus da 24, 30 e anche 50 metri che potranno avere batterie ancor più capaci e certamente in grado di coprire lunghe percorrenze, anche extraurbane».

CTM, azienda di trasporto pubblico di Cagliari, per esempio, vuole arrivare entro 2-3 anni a una flotta per due terzi full electric. Ma senza sprechi e progetti faraonici: sfruttando al meglio le linee aeree a due fili dei vecchi filobus. Spiega l’ing. Luigi Di Stasio, Direttore manutenzione: «Abbiamo 7 veicoli in servizio su 3 linee per totali 49 km. Utilizziamo la rete aerea già esistente per ricariche opportunistiche ai capolinea, con i pantografi: soste di 8 minuti bastano a recuperare i 20 km di autonomia necessari a rispettare le tabelle di marcia pur con veicoli senza enorme autonomia. Risparmiamo sulle infrastrutture di ricarica, sia in deposito sia sul percorso». Per portare a termine il suo progetto elettrico, quindi, CTM chiede ai costruttori veicoli customizzati, allestiti su misura per le sue esigenze.

Anche il costruttore italiano Industria Italiana Autobus (IIA), che a sua volta ha appena lanciato il  Citymood 12 metri full electric, pensa che, quando i volumi di mercato lo consentiranno, una  nuova generazione di bus progettati da zero per essere “nativi elettrici” assicurerà l’operatività su quasi tutte le linee. Potranno essere anche flessibili per adattarsi a esigenze particolari come quelle prospettate da CTM Cagliari. «Ma il fabbisogno energetico di un bus _ avverte il direttore R&D e qualità ing. Luca Cordiviola _ non si limita alla percorrenza: il 30% circa serve per riscaldamento e condizionamento. Per le linee extraurbane noi puntiamo sulle fuel cells ad idrogeno verde piuttosto che su enormi batterie».

La gestione delle batterie preoccupa anche TPER, che infatti non esclude l’opzione idrogeno. «Se convertissimo tutta la flotta già oggi _ dice Lipparini _ ci ritroveremmo fra 8-9 anni con centinaia di batterie da sostituire, e tutte contemporaneamente. Con enormi problemi finanziari e organizzativi».

La scelta di grandi batterie non è sempre quella vincente. «Sono un costo importante, e tanto peso, che se non sfruttato al 100% si traduce semplicemente in spreco» fa notare Leonardo Spacone, fondatore di Power Cruise Control. Spacone sta sviluppando per un’azienda di trasporto pubblico locale una versione per bus full electric del suo navigatore PCC.

Consente anche ad autisti che si mettano per la prima volta alla guida di veicoli elettrici di gestire la carica da inizio a fine servizio fino all’ultimo kWh. «Abbiamo verificato _ aggiunge _ che diversi stili di guida possono influire sui consumi di un bus elettrico fino al 30%. Ottimizzando la guida si risparmia sulla ricarica e sull’acquisto del mezzo, che può essere adeguatamente dimensionato. Allo stesso costo, così, si possono mettere in flotta quattro veicoli anzichè tre».

«Infatti la conversione di una flotta di trasporto pubblico al full electric non può essere semplicemente la sostituzione di un veicolo termico con un veicolo elettrico» incalza l’ing. Nadia Amitrano, Sales manager di Enel X e-Bus offering. Enel X si presenta alle aziende del trasporto pubblico come fornitore di sistemi di trasporto full electric “chiavi in mano”. «Vendiamo chilometri elettrici» sintetizza. E spiega: «E’ necessario riprogettare tutto il servizio, identificare per ogni linea il mezzo più  adatto, e allestire un’infrastruttura di supporto per la gestione della ricarica. Anche per questo noi stimiamo che il rapprto fra vecioli termici e veicoli elettrici non sarà di 1 a 1, ma probabilmente di 1 a 1,2-1,3».

Non esiste insomma la soluzione buona per tutti. Su questo concordano Enel X e Hitachi Energy, entrambi parte dell’ecosistema che sta fra produttori e utilizzatori del bus elettrico. Filippo Passante è Operating Unit Manager Italia & Business Unit Grid Integration di Hitachi Energy, divisione del colosso giapponese dedicata a tutte le infrastrutture energetiche sostenibili.  Come Nadia Amitrano, vede la conversione elettrica del trasporto pubblico come uno dei tasselli della futura “smart city”. «Esistono soluzioni di ricarica per tutti i profili di missione, linea per linea _ dice Passante _e noi le proponiamo tutte: dai dispositivi per la ricarica intelligente overnight, in deposito, a quelli per l’opportunity recharge lungo il percorso. Ma in entrambi i casi è indispensabile pianificare infrastrutture e conversione delle flotte come un unico percorso, da compiere in 10-15 anni». E’ un puzzle molto complesso, soprattutto in Italia. Deve fare i conti con burocrazia, inefficienza dell’amministrazione pubblica, mercato dell’energia iper regolamentato.

E anche con le disponibilità energetiche e le strozzature della rete. «Una flotta di 100 bus elettrici, se ricaricati in contemporanea a fine servizio, occupa un potenza critica di oltre 4 MW _ sottolinea Passante _. Un’ infrastruttura di ricarica intelligente e digitalizzata, come la nostra Grid e-Motion Flash già installata in tante città europee, consente di fare lo stesso lavoro impegnando solo 2,2 MW».

Se poi si tratta di energia da fonti rinnovabili, il ciclo della sostenibilità è chiuso. Non a caso approfittando del sole e del vento della Sardegna CTM Cagliari ha in programma l’installazione di un impianto fotovoltaico con accumulo da 1 MWh al servizio della ricarica dei suoi bus elettrici. Anche qui interecettando un suggerimento di Hitachi Energy che propone di inserire i grandi accumuli di energia green delle future flotte di trasporto pubblico full electric nel sistema energetico delle smart city. «Potrebbero fornire alla rete servizi di bilanciamento, ben retribuiti» chiosa Passante.

C’è tanta carne al fuoco, insomma. E tanto business per l’industria della mobilità sostenibile. La filiera italiana sarà in grado di intercettarla? Alberto Carriero, Responsabile Filiere Strategiche Cassa Depositi e Prestiti assicura che CDP ha un faro acceso sul settore. Sia nella sua tradizionale veste di “banca” delle pubbliche amminstrazioni, sia in quella innovativa di partner finanziario per le «imprese  che devono riposizionarsi lungo la catena del valore».

Carriero è convinto che la filiera dell’automotive made in Italy stia dando segnali di dinamismo anche nel sottosettore dei nuovi mezzi per il trasporto collettivo. «Ma non illudiamoci che la conversione alla tecnologia elettrica possa avvenire in autarchia. E’ tutta l’Europa a misurarsi con processi di accorciamento delle filiere per conquistare una propria autonomia strategica nelle batterie, nelle fonti rinnovabili e nei semiconduttori. E ogni Paese, Italia in primis, deve mettere le competenze delle migliori imprese al servizio di questi grandi progetti europei. Cassa Depositi e Presititi è pronta ad accompagnarle».

“abbiamo autobus che rientrano in deposito dopo 600-700 km e dopo due o tre giorni di permanenza notturna in parcheggi periferici in strada”, ma avete anche tutti gli altri che ne percorrono dannatamente meno e rientrano quotidianamente nel deposito centrale, perchè non partire da questi?? Trovo certe giustificazioni risibili e offensive per l’interlocutore: non siamo stupidi. Avessero il coraggio di dire che ci sono dietro interessi economici, pessime abitudini e resistenze culturali, prima di tutto. “Se convertissimo tutta la flotta già oggi ci ritroveremmo fra 8-9 anni con centinaia di batterie da sostituire, e tutte contemporaneamente. Con enormi problemi finanziari e organizzativi” come dire: la risposta è già dentro di me e non è sbagliata, ma faccio finta di non capirla. Per esempio sostituire il 10% dei veicoli all’anno? Chi ha chiesto di cambiare il 100% dalla sera al mattina? la soluzione è sicuramente rimandare il problema così che ci si possa trovare nella stessa identica situazione da lui stesso definita critica ma dopo X anni di rimando, senza i fondi del PNNR, strategia sicuramente premiante per l’azienda, per gli utenti urbani e per l’ambiente. Non voglio offendere Lipparini come tecnico perchè probabilmente parla da politico e non fa altro che applicare linee guida centrali, ma il risultato è il medesimo: immobilismo e intanto stare dietro ad un autobus diesel in Emilia Romagna e vedere quel fantastico pennacchio nero ad ogni accelerata è come fumare in faccia ad un asmatico. Grazie Vaielettrico di avere messo a confronto chi sta gestendo la transizione e chi continua a rifiutarla, almeno un giorno gli si potrà dire “ve lo avevamo persino dimostrato”.

Bel commento complimenti, stavo per scrivere le stesse cose ma mi hai anticipato: complimenti. Il tuo discorso poi penso si possa estendere in generale a tutte quelle necessità di riconversione del presente verso un futuro sostenibile che incontrano tantissime problematiche senza senso come hai evidenziato nel tuo commento..

evidentemente si riferisce alle “corriere” e non ai bus cittadini: tipologie di veicoli completamente diversi. sono quelle che collegano, ad esempio, la montagna (e tutti i vari paesi) alla città: infatti, come dice in articolo, ci sono mezzi che permangono fuori la notte per la corsa del mattino successivo. quindi, o alta autonomia o punti di ricarica strutturati appositamente. per fare come dici tu, probabilmente occorrerebbero il doppio dei veicoli: quando mai ammortizzeresti i costi?

Appunto, le “corriere” hanno solo posti a sedere e non posti in piedi e possono raggiungere i 100 km/h di velocità massima, gli autobus hanno anche i posti in piedi, cambio automatico e sono limitati nella velocità massima, non possono nemmeno entrare in tangenziale. Sono due tipologie di veicoli diverse sia di meccanica che di carrozzeria. Sono già sdoppiati, intanto cambiate i bus, poi si provvederà alle corriere, per le quali vanno studiate anche le soluzioni ad idrogeno (perchè per loro, a differenza delle automobili, ha senso) o, come tutti gli autobus di Modena, a Metano (do per scontato che il prezzo del metano smetterà di essere oggetto di speculazione e tornerà a valori umani). Qui invece non si fa esattamente nulla.

scusa guido, ho letto male: il tuo “perchè non partire DA questi??” mi è diventato “perché non partire CON questi”, inteso come tram al posto delle corriere. da lì tutto il commento..

PS: i miei 2 ictus e mezzo ogni tanto dicono la loro..?‍♂️

Sdrammatizzo (e non ne avrei mezzo titolo): io non posso nemmeno giustificarmi con quelli… tutti problemi di progetto, i miei, non imputabili a guasti fuori garanzia!

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