Classificazione rifiuti del Snpa: i chiarimenti del Mite

2022-10-26 12:36:25 By : Mr. ken xie

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Classificazione rifiuti del Snpa: dopo l'emanazione delle linee guida del Sistema nazionale protezione ambiente, il ministero della Transizione ecologica ha ricevuto una serie di quesiti. Per dare una riposta a queste richieste, il Mite ha trasmesso a Regioni e associazioni di categoria un documento per fornire alcuni chiarimenti applicativi sulle linee guida dello scorso anno.

Le linee guida erano state approvate con il decreto direttoriale n. 47 del 9 agosto 2021.

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Qui di seguito il testo integrale del documento ministeriale

Con riferimento alle richieste di chiarimenti pervenute al MiTE in merito all’applicazione delle linee- guida SNPA in oggetto, approvate con Decreto Direttoriale n. 47 del 09.08.2021, acquisito il parere di ISPRA/SNPA con nota prot. 52794 del 26.09.2022, si rappresenta quanto segue.

È stato richiesto di chiarire quale sia il rapporto gerarchico tra le Linee guida sulla classificazione dei rifiuti approvate con D.D. n. 47 del 9 agosto 2021 e le altre disposizioni, quali norme regionali e atti autorizzativi.

L’articolo 184, comma 5, del D.Lgs. n. 152 del 2006, prevede l'approvazione da parte del Ministero della transizione ecologica, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, delle linee guida redatte dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale per la corretta attribuzione, ad opera del produttore, dei codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei medesimi.

Con D.D. n. 47 del 9 agosto 2021, il MiTE ha approvato le dette Linee Guida come definite con delibera del Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente del 18 maggio 2021, n.105, così come integrate dal sotto-paragrafo denominato “3.5.9 - Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati”, da introdurre al Capitolo 3 delle stesse.

È bene evidenziare che, le predette Linee guida, seppur approvate con decreto direttoriale (in accordo con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano) sono state adottate sulla base di un’esplicita previsione di legge statale, ossia l’articolo 184, comma 5, del D.Lgs. n. 152 del 2006, assumendo, pertanto, una forza formale assimilabile a quella della legge stessa (cfr. sentenza della Corte costituzionale 11 giugno 2014, n. 170).

Peraltro, si sottolinea che, il coinvolgimento della citata Conferenza permanente ha consentito che fosse effettuato, prima dell’adozione del provvedimento, il necessario confronto e coordinamento tra le prerogative dello Stato e quelle degli Enti regionali.

Relativamente, invece, alla validità delle posizioni espresse da ISPRA, precedenti alla pubblicazione delle Linee guida in questione, si ritiene che le stesse mantengano la loro validità, qualora non risultino in contrasto con tali linee guida. Su questo aspetto, si ritiene utile evidenziare che alcuni pareri sono stati rilasciati prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni europee sulla classificazione dei rifiuti nonché degli orientamenti tecnici della Commissione e, ovviamente, delle linee guida nazionali.

In generale, appare utile segnalare, tra le considerazioni preliminari, che in base a quanto riportato dalle linee guida, la documentazione da predisporre ai sensi delle stesse si riferisce, ovviamente, alla sola procedura di classificazione del rifiuto finalizzata all’individuazione del corretto codice EER e, nel caso di pericolosità, delle pertinenti caratteristiche di pericolo. Altre procedure, quale ad esempio la verifica di conformità ai sensi del d.lgs. n. 36/2003, dovranno seguire quanto disposto dalle norme specifiche e non dalle disposizioni in materia di classificazione. Resta fermo che una classificazione effettuata mediante una procedura adeguata può, comunque, fornire indicazioni utili e utilizzabili anche in altre fasi del ciclo di gestione del rifiuto.

Un quesito posto attiene ai contenuti specifici che devono avere sia la relazione tecnica che il giudizio di classificazione.

Nelle linee guida, tra la documentazione ritenuta di primaria importanza per garantire un’adeguata tracciabilità dell’iter decisionale seguito dal produttore nell’ambito della procedura, sono citati la relazione tecnica e il giudizio di classificazione. La disponibilità di tale documentazione consente di rendere più chiara la procedura adottata, al fine di evitare difformità interpretative. Non è però necessario che sia predisposta una relazione identica a quella mostrata, peraltro a titolo esemplificativo, nelle linee guida, ma è sufficiente che siano prese in considerazione e riportate, come peraltro evidenziato nelle stesse linee guida, tutte le informazioni e procedure seguite per individuare il codice EER da attribuire al rifiuto.

In merito al giudizio di classificazione, seppur non espressamente specificato, le linee guida evidenziano, in più punti, che lo stesso può non rendersi necessario in vari casi, come, ad esempio, nella fase di classificazione dei rifiuti non pericolosi “assoluti” o qualora le informazioni acquisite sul rifiuto non comportino la necessità di ricorrere ad analisi chimiche o a test.

Per i rifiuti non pericolosi assoluti il giudizio di classificazione è chiaramente superfluo, in considerazione di quanto espressamente riportato dalle linee guida stesse (si veda paragrafo 2.1.2, punto 1): ”1. il rifiuto è individuato esclusivamente da un codice non pericoloso, ossia da un codice non asteriscato dell’elenco europeo di cui all’allegato della decisione 2000/532/CE, non accompagnato da una corrispondente voce specchio pericolosa. Esempio 1: il codice 03 03 01 (scarti di corteccia e legno) identifica un rifiuto non pericoloso derivante dalla produzione e lavorazione di polpa, carta e cartone (sub capitolo 03 03) che non presenta alcuna corrispondente voce specchio pericolosa. Esempio 2: il codice 10 01 03 identifica le ceneri leggere di torba e di legno non trattato prodotte da centrali termiche e da altri impianti termici diversi dagli impianti di trattamento dei rifiuti. Anche questo codice non è accompagnato da una corrispondente voce specchio pericolosa.

I due esempi si riferiscono, quindi, a rifiuti automaticamente classificati come non pericolosi secondo il criterio dell’origine. Al riguardo, gli “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” riportano quanto segue: “qualora un rifiuto sia assegnato a una voce ANH (Absolute Non Hazardous, voce assoluta di non pericolo), lo stesso è classificato come non pericoloso e non occorrono ulteriori valutazioni per decidere se detto rifiuto debba essere classificato come non pericoloso”. In tali circostanze si applica, evidentemente, il criterio dell’origine del rifiuto e non quello della pericolosità.

Ciò che le linee guida vogliono evidenziare è che sia messa in atto una procedura nella quale sia chiaro il motivo per cui sono state fatte determinate scelte e, nel caso, di potenziale pericolosità, sia esplicitata la ragione che ha portato a ricercare talune sostanze. In tale ambito si ritiene importante che la classificazione del rifiuto sia accompagnata da una documentazione esaustiva, di immediata consultazione, al fine di rendere evidente il processo decisionale adottato dal produttore. La forma nella quale le informazioni sono riportate non risulta, di conseguenza, vincolante. Peraltro, le tabelle individuate dalle linee guida si riferiscono ad esempi illustrativi indicativi e non necessariamente esaustivi.

È stato, poi, chiesto di fornire indicazioni sulla classificazione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Nelle linee guida, infatti, si è scelto di adottare un approccio differente rispetto a quello riportato negli “Orientamenti tecnici della Commissione europea”. In questi ultimi, i codici EER dei RAEE si configurano come voci specchio, il che si può tradurre nella necessità di individuare la concentrazione delle sostanze pericolose ai fini dell’attribuzione del pertinente codice. Nel caso delle linee guida del SNPA si è scelto di applicare un approccio analogo a quello utilizzato per i veicoli fuori uso, in base al quale il codice pericoloso o non pericoloso è connesso alla messa in atto o meno delle procedure di bonifica del veicolo.

La classificazione di un’apparecchiatura dipende quindi dalla presenza o meno di componenti pericolose che può evidentemente essere valutata sulla base delle informazioni fornite dai produttori dell’apparecchiatura stessa.

Un quesito posto, poi, attiene alla definizione di Professionista abilitato.

Per professionista abilitato alla redazione del giudizio di classificazione si intende un tecnico abilitato nelle specifiche materie di competenza necessarie per la corretta identificazione e ricerca delle sostanze pertinenti.

Si ritiene, pertanto, che quanto riportato nel riquadro 2.1 delle linee guida (“Il giudizio di classificazione è un documento a sé stante, redatto da professionista abilitato, sulla base delle informazioni ricavate dal ciclo produttivo del rifiuto, dalle analisi di laboratorio e dai test effettuati”) debba essere letto nel seguente modo: “il giudizio di classificazione è un documento a sé stante, redatto e firmato da professionista abilitato, in funzione delle specifiche competenze previste per legge, sulla base delle informazioni ricavate dal ciclo produttivo del rifiuto, dalle analisi di laboratorio e dai test effettuati."

Tra i quesiti posti viene richiesto se “qualora il soggetto che redige il piano di campionamento sia diverso da quello che redige il giudizio di classificazione, sia opportuno riportare i relazionali di tale scelta anche nel giudizio di classificazione o meno”.

Come precedentemente evidenziato, si ritiene che la forma non sia vincolante, purché nella documentazione predisposta siano riportate in modo chiaro le informazioni sulla base delle quali il produttore, ovvero il soggetto che ha operato per conto del produttore, ha effettuato determinate scelte nella fase di classificazione.

Sulla base di tale considerazione ne consegue che il soggetto che attua le varie fasi del processo non debba essere necessariamente unico, purché sia evidente il processo decisionale attuato.

In riferimento ai rifiuti da attività di costruzione e demolizione, è stato chiesto di chiarire se l’iter procedurale contenuto nelle linee guida sia conforme alla normativa vigente.

Sul punto occorre precisare che, tenuto conto di quanto espressamente riportato nelle premesse dell’allegato alla decisione 2000/532/CE, si ritiene che l’iter procedurale contenuto nelle linee guida sia conforme e del tutto coerente con quello previsto dalla normativa. Va, infatti, ribadito che il primo aspetto su cui deve basarsi la procedura di classificazione è quello che porta ad individuare il codice EER facendo riferimento all’origine del rifiuto.

Tra le disposizioni individuate dalla decisione 2000/532/CE è, infatti, specificato che “[...] per identificare un rifiuto nell'elenco occorre procedere come segue:

- Identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 per risalire al codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli che terminano con le cifre 99. Occorre rilevare che è possibile che un determinato impianto o stabilimento debba classificare le proprie attività in capitoli diversi. Per esempio, un costruttore di automobili può reperire i rifiuti che produce sia nel capitolo 12 (rifiuti dalla lavorazione e dal trattamento superficiale di metalli), che nel capitolo 11 (rifiuti inorganici contenenti metalli provenienti da trattamento e rivestimento di metalli) o ancora nel capitolo 08 (rifiuti da uso di rivestimenti), in funzione delle varie fasi della produzione. [...]”

Come si può rilevare i criteri di classificazione dei rifiuti si basano sull’individuazione dell’attività generatrice, per alcune tipologie di rifiuti, e sulla funzione che rivestiva il prodotto d’origine, per altre tipologie (ad esempio, per i rifiuti di imballaggio, qualsiasi sia la loro origine, si fa sempre riferimento alla voce 15 01 dell’elenco europeo).

Pertanto, le prime due cifre del codice si riferiscono alla categoria industriale e/o generatrice del rifiuto (I livello), la terza e la quarta alla sub categoria industriale relativa al singolo processo produttivo o alla singola sub-attività generatrice del rifiuto (II livello), mentre le ultime due cifre individuano la specifica tipologia di rifiuto generato (III livello).

Fatta questa premessa, è opportuno segnalare che, nell’ambito del paragrafo 3.5.4 delle linee guida, le attività menzionate come possibili fonti dei rifiuti ascrivibili al capitolo 17 rappresentano solo esempi, come appare evidente dal fatto che le stesse sono seguite dalla dicitura “ecc.” da cui si deduce che anche attività di altro tipo possono rientrare nella casistica indicata.

Su tale aspetto può essere, in particolar modo, utile citare la classificazione ISTAT delle attività economiche in base alla quale le costruzioni sono inserite nella sezione F (ATECO 2007). Tale classificazione indica, in primo luogo, che l’attività in oggetto risulta chiaramente codificata e ben differenziabile da altre attività. Va però rilevato che una medesima impresa può ovviamente operare in più settori ed essere quindi identificata da un’attività economica prevalente e da altre attività economiche. In tale ambito si ritiene che la codifica da utilizzare ai fini della classificazione dei rifiuti debba essere correlata alla specifica attività in atto al momento della produzione degli stessi.

Analizzando la sezione F dei codici ATECO si può rilevare che le attività associate alle costruzioni non si limitano a quelle riportate, a titolo di esempio nel paragrafo 3.5.4 delle linee guida SNPA sulla classificazione dei rifiuti, nel quale, proprio per tener conto di tale aspetto, sono espressamente riportate le diciture “a titolo puramente esemplificativo” ed “ecc.”. Ad esempio, il settore in oggetto ricomprende, tra le altre, le attività di installazione di impianti elettrici, idraulici ed altri lavori di installazione (scale mobili, isolamento termico, antivibrazioni, ecc.), nonché le attività di posa in opera di infissi, pareti mobili e simili, il completamento e la finitura di edifici, la realizzazione di coperture, ecc.

Ne consegue che la demolizione di infrastrutture metalliche, quali ad esempio le scaffalature, i nastri trasportatori, i carter, le porte metalliche, ecc., che rientra all’interno della sezione F della classificazione ATECO, è parimenti da considerarsi relativa al capitolo 17 dell’elenco europeo dei rifiuti.

Le considerazioni sopra riportate non stanno ad indicare che, ai fini della definizione del corretto codice da attribuire ad un rifiuto, si debba ricorrere alla classificazione ATECO, ma esclusivamente che la descrizione contenuta nel paragrafo 3.5.4 è da leggersi solo come esemplificativa e, quindi, da applicarsi in senso estensivo.

Nel caso di processi di fabbricazione di mezzi di trasporto, l’utilizzo del capitolo 17 è in ogni caso da ritenersi inappropriato. Infatti, pur trattandosi di un capitolo riportante diversi codici di dettaglio, lo stesso, sulla base delle disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE e nell’allegato D alla parte quarta del decreto legislativo 152/2006, va applicato secondo i criteri enunciati dalle linee guida.

Sulla base di queste considerazioni, si ritiene che i codici di riferimento siano da ricercarsi in altri capitoli dell’elenco e, in particolare, nel capitolo 12, ivi incluso, in caso di assenza di altre voci, il codice 99, integrando la documentazione con utili indicazioni per una migliore identificazione del rifiuto.

Si fa, peraltro, presente che sui rifiuti da costruzione e demolizione la normativa comunitaria prevede specifici obbiettivi di riciclaggio, il cui monitoraggio risulterebbe inattuabile qualora il relativo capitolo fosse utilizzato per la classificazione di rifiuti non attinenti.

Un altro aspetto da chiarire riguarda se, nella fase di classificazione dei rifiuti con codice a specchio del capitolo 20 dell’elenco europeo, sia necessario il rispetto delle modalità riportate nei riquadri da 2.1 a 2.3 delle linee guida SNPA. Su tale aspetto si ritiene che, date le specifiche modalità e disposizioni normative stabilite per la gestione di tale flusso di rifiuti, anche nel caso di rifiuti pericolosi (si veda, ad esempio, l’articolo 184, comma 5-quater, del d.lgs. n. 152/2006 o l’articolo 193, comma 7, del medesimo decreto), non siano da applicarsi le suddette modalità operative da parte del produttore.

Un ulteriore chiarimento riguarda l’attuazione della procedura che il produttore può applicare per la classificazione dei rifiuti prodotti dal trattamento meccanico-biologico introdotta dalle Linee guida in questione.

Il paragrafo 3.5.9, inserito come addendum dal decreto ministeriale n. 47 del 9 agosto 2021 di approvazione delle linee guida, fornisce, nell’ambito delle procedure di classificazione, indicazioni sulle modalità applicabili per i rifiuti derivanti dal trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati. Considerata la varietà delle procedure gestionali applicate sul territorio nazionale, si ritiene che tali indicazioni siano, inevitabilmente, da considerarsi come linee guida sulla procedura che il produttore può applicare per la classificazione dei rifiuti generati dal proprio processo. Le modalità, le tempistiche, le frequenze rientrano, necessariamente, nella scelta del produttore che rappresenta, come espressamente previsto dalla normativa, il soggetto su cui ricade l’onere della classificazione. Si ritiene, pertanto, che le Linee guida debbano mantenere, su questi aspetti, un approccio non eccessivamente rigido e che le specifiche scelte sulle tempistiche e sulle modalità debbano essere definite dal produttore del rifiuto.

È stato chiesto di chiarire la classificazione di un imballaggio nominalmente vuoto in presenza di materiali polverulenti e la questione sulla differente classificazione degli imballaggi in base agli Orientamenti della Commissione e alle linee guida SNPA (voci specchio nel primo caso, codici pericolosi o non pericolosi “assoluti” nel secondo).

Per quanto riguarda il primo aspetto va innanzi tutto segnalato che il concetto di “nominalmente vuoto” assume particolare rilevanza nell’ambito della classificazione di un rifiuto di imballaggio contenente residui di sostanze pericolose da cui potrebbe derivare la sussistenza di pericolosità dell’intero imballaggio. La presenza di un residuo minimo di prodotti non pericolosi, ad esempio, di farine alimentari in polvere, non ha effetti ai fini della classificazione del rifiuto. La presenza di “residui minimi” del contenuto, ovvero di tracce dello stesso, non ne impedisce, infatti, la classificazione come rifiuto di imballaggio. Tale classificazione può ritenersi applicabile, in base a quanto riportato dalle linee-guida SNPA stesse, quando:

In generale si ritiene, dunque, che la presenza di un residuo minimo di una sostanza o miscela di sostanze non pericolose, come nel caso di specie, non precluda l’utilizzo del codice relativo alla specifica frazione merceologica costitutiva dell’imballaggio. Tale aspetto appare evidente sia dalla lettura dell’elenco puntato di cui sopra che dall’analisi dell’esempio di schema procedurale riportato al paragrafo 3.5.1 delle linee guida SNPA.

In merito al secondo aspetto, utilizzo di voci specchio o di codici “assoluti”, si ritiene che l’applicazione del metodo riportato dagli Orientamenti tecnici della Commissione avrebbe comportato problematiche applicative superiori a quelle derivanti dall’applicazione delle linee guida del SNPA, in quanto avrebbe richiesto l’effettuazione delle opportune analisi chimiche finalizzate alla verifica della sussistenza di pericolosità, con tutte le difficoltà del caso. Per rendere la procedura meno onerosa da un punto di vista tecnico, nelle linee guida SNPA si è optato per l’applicazione di un processo che, nel caso della presenza di alcuni contenitori etichettati nella massa costituita da imballaggi non pericolosi, preveda l’attuazione di un’accurata separazione in impianto di tali contenitori al fine di evitare la necessità di dover classificare l’intera massa come rifiuto pericoloso. Un approccio diverso avrebbe richiesto un campionamento, la preparazione del campione, con tutte le problematiche associate (si pensi ad esempio alle difficoltà di caratterizzazione di un campione di imballaggi metallici) e la successiva analisi del rifiuto. Inoltre, proprio al fine di rendere attuabile la gestione di questa tipologia di rifiuto, limitando le problematiche connesse ad una procedura basata sulla classificazione di voci specchio, nelle linee guida SNPA è stato anche riportato che, nel caso di rifiuti di origine urbana, le caratteristiche di pericolo da associare a tale specifica frazione del rifiuto non possano essere valutate sulla base della sola presenza di singoli imballaggi etichettati ma potranno essere identificate attraverso una procedura che tenga conto dell’intera massa dei rifiuti, inclusa l’incidenza relativa dei singoli imballaggi etichettati sul quantitativo assoluto e della sua composizione merceologica, determinata utilizzando, ad esempio, la procedura ANPA RTI CTN_RIF 1/2000 o altre metodiche specificatamente sviluppate

Un approccio che attribuisca ai codici in oggetto la valenza di voci specchio potrebbe, invece, ingenerare problematiche non trascurabili ai fini dell’utilizzo dei codici non pericolosi espressamente previsti per gli imballaggi, in quanto tali codici dovrebbero essere in questo caso ritenuti voci specchio non pericolose del codice 150110* e ciò comporterebbe l’impossibilità di adottare l’approccio di automatica classificazione previsto per le voci non pericolose prive di voce specchio. Ne conseguirebbe che qualsiasi imballaggio contenente un residuo di sostanza dovrebbe essere sottoposto a una verifica di sussistenza di pericolosità.

Sulla classificazione dei rifiuti di imballaggio viene evidenziata la difficoltà legata all’impossibilità di attuare una separazione automatica dei contenitori etichettati da quelli non etichettati come anche non percorribile è l’implementazione di una selezione manuale in un impianto industriale con determinati standard di produttività, con la conseguente necessità, stante quanto riportato nel periodo finale di pagina 78, di “dover classificare l’intera massa come rifiuto pericoloso”.

Si ritiene che su tale aspetto utili indicazioni, come già precedentemente riportato, siano contenute al successivo paragrafo relativo alla classificazione dei rifiuti di imballaggio di origine urbana ove è specificato che “relativamente alle caratteristiche di pericolo da associare a tale specifica frazione del rifiuto urbano si rappresenta come queste non possano essere valutate sulla base della sola presenza di singoli imballaggi etichettati ma potranno essere identificate attraverso un approccio che tenga conto dell’intera massa dei rifiuti e della sua composizione merceologica” e quindi dell’incidenza relativa dei singoli imballaggi etichettati sul quantitativo assoluto”.

Per quanto attiene al chiarimento richiesto sul diagramma in figura 4.1.1, in particolare sulla seconda opzione prevista dal flow chart, le linee guida SNPA evidenziano che l’assegnazione della caratteristica di pericolo HP14 debba essere effettuata a valle sia della valutazione sulla tossicità cronica (tabella 4.1.0 b) i) o 4.1.0 b) ii) a seconda delle informazioni sulla degradazione rapida), che della tossicità acuta se sono disponibili dati adeguati per gli altri livelli trofici (in base ai criteri della tabella 4.1.0 b) iii)), effettuando quindi la classificazione a seguito della valutazione più rigorosa.

Relativamente alla richiesta di apportare modifiche alle linee guida per prevedere un approccio misto chimico-ecotossicologico per l’assegnazione della caratteristica di pericolo HP14, si rammenta che l’aggiornamento delle stesse può interviene solo a seguito di modifiche della normativa comunitaria e/o nazionale.

In ordine al chiarimento richiesto sullo schema decisionale riportato nel paragrafo 4.3.3 delle Linee guida del SNPA, si segnala la presenza di un errore in base al quale risulta assente il passaggio che prevede, nel caso di rifiuti solidi contenenti ad esempio una sostanza H225, di dover effettuare un test o di avvalersi del principio “ove opportuno e proporzionato”. Ne consegue che la dicitura “Il rifiuto è un solido contenente una o più sostanze H228?” debba essere sostituita con la dicitura “Il rifiuto è un solido e contiene una o più sostanze classificate secondo quanto riportato in Tabella 3?”.

In ordine ai chiarimenti circa il valore del pentaclorofenolo, come descritto al paragrafo 4.16 delle Linee guida, per gli inquinanti organici persistenti (POPs) elencati dall’allegato alla decisione 2000/532/CE si applicano i valori limite previsti dall’allegato IV al regolamento 2019/1021/UE (regolamento POPs).

Per il pentaclorofenolo, come per gli altri inquinanti individuati dal regolamento POPs ma non dalla decisione 2000/532/UE, si applica, come richiamato nelle linee guida, il valore limite indicato dall’allegato III alla direttiva 2008/98/CE per la pertinente caratteristica di pericolo, ove prevista.

Un quesito posto attiene al rapporto tra le Linee guida in questione e la normativa Seveso. Sul punto, occorre rappresentate che le linee guida SNPA trattano solo marginalmente la classificazione Seveso nell’appendice “Indicazione di massima delle possibili corrispondenze tra classificazione ai sensi della direttiva Seveso III e della direttiva 2008/98/CE” in cui si chiarisce che i criteri previsti ai fini della classificazione dei rifiuti non sono del tutto sovrapponibili ai criteri CLP. Non esiste, infatti, una trasposizione diretta e univoca tra le caratteristiche di pericolo HP e le categorie Seveso. La valutazione deve essere quindi effettuata caso per caso, anche per i rifiuti non pericolosi, facendo riferimento alle specifiche disposizioni normative.

Un ultimo chiarimento attiene alla rappresentatività dei campioni nell’ambito della gestione dei rifiuti urbani. Considerato che detta questione non rientra tra le tematiche trattate dalle Linee guida SNPA, si rimanda alle norme tecniche di riferimento.

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