Un progetto ambizioso, nato per rilanciare le aree appenniniche colpite dal sisma. Presentato nel 2019 al Tavolo Idrogeno del Ministero dello Sviluppo Economico. Abbracciato dai territori, che hanno sottoscritto un Protocollo con colossi del settore. Discusso a più riprese con le regioni interessate. Promosso infine dalla Commissione europea, che lo ha inserito nella pipeline progettuale della European Clean Hydrogen Alliance. Un polo diffuso dell’idrogeno verde nell’Appennino centrale, con una produzione a regime di oltre mille tonnellate l’anno, a servizio del trasporto su gomma e soprattutto su rotaia per rilanciare il trasporto passeggeri lungo la dorsale appenninica di 310 km che da Sansepolcro, in Toscana, giunge fino a Sulmona, in Abruzzo, passando per Perugia, Terni, Rieti e l’Aquila. Ma a che punto siamo? Oltre al progetto e agli investitori internazionali che lo hanno promosso, oggi c’è un finanziamento, ci sono i treni e c’è un contesto regolatorio molto favorevole rispetto al passato. Eppure, rischia di saltare tutto. Riavvolgiamo il nastro.
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Per la Terni-Sulmona, dove circolano treni a gasolio a fine vita, era stata prevista l’elettrificazione tradizionale tramite catenaria. Il costo infrastrutturale, interamente a carico delle finanze pubbliche, era stimato in centinaia di milioni di euro. Fondi da assegnare a Rfi, società per azioni del gruppo Fs, gestore della linea. Finché non è spuntata la proposta di elettrificare con l’idrogeno, che riduceva l’esborso pubblico, portando innovazione, nuove attività economiche e nuovi posti di lavoro. Ed è così che nel settembre 2021, d'intesa con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, la cabina di coordinamento che riunisce i due commissari di governo dei terremoti de l’Aquila (2009) e di Amatrice (2016) con i presidenti delle quattro Regioni colpite ha deciso di finanziare il progetto con 50 milioni, a valere sul Fondo per la ricostruzione da 1 miliardo e 800 milioni. Il Commissario straordinario al Sisma 2016, Giovanni Legnini, li ha ripartiti affidando 28 milioni alle regioni Lazio e Abruzzo per l’acquisto dei primi treni e i restanti 22 milioni a Rfi, incaricata di progettare gli interventi necessari e realizzarli. Altri 59 milioni sono previsti dal bilancio del Mims per completare la flotta. Il Commissario può contare su poteri speciali per operare in deroga laddove necessario. Lazio e Abruzzo hanno girato il finanziamento a Trenitalia per l’acquisto di convogli a idrogeno utilizzabili anche su tratte elettrificate. Fin qui, dunque, tutto bene. Poi Rfi ha commissionato uno studio di fattibilità a Italferr, ma lì sono arrivati i problemi: con l’ordinanza 35 del 30 giugno 2022, Legnini ha definito “carenti e insufficienti” e “non adeguati al livello progettuale richiesto” i documenti presentati, “anche ai fini dell’esatta individuazione dei siti di produzione”.
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E così, il finanziamento è stato revocato. Entro settembre era atteso un bando o avviso pubblico per acquisire nuove proposte e riassegnare il finanziamento. La scadenza, tuttavia, non è stata rispettata. Gli investitori sono increduli. “Siamo pronti a fare la nostra parte, ma i tempi sono strettissimi ed entro il 31 dicembre il finanziamento potrebbe decadere. Speriamo di essere messi in condizione di presentare una proposta sostenibile”, dice Roberto Francia, a capo della cordata di investitori internazionali. Il 31 dicembre, insieme al finanziamento, scade anche il terzo mandato del commissario Legnini. Nel frattempo, la conversione a idrogeno di altre sei linee ferroviarie da Nord a Sud, finanziata dal Pnrr, sembra procedere senza intoppi. Proprio mentre il contesto internazionale obbliga a ripensare il nostro modello energetico, con l’economia del Centro Italia che stenta a riprendersi, il treno a idrogeno degli Appennini sembra aver ingranato la retromarcia.E allora la domanda nasce spontanea: perché rischiare di perdere questo finanziamento destinato a un’opera strategica per il territorio?
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